sabato 16 gennaio 2010

Di come in arkeon quasi tutti ricordano di aver subito l’abuso

Era il 1999. Il lavoro sul pedofilo andava di pari passo con quello del riconoscimento della parte perversa della madre e, per le donne, col riconoscere come questa parte perversa della madre era stata da loro ereditata ed era (o era stata) continuamente attiva nella propria vita. Gli uomini dovevano a loro volta staccarsi dalla madre riconoscendo come essa li teneva legati a sé (vedi sopra) per andare consapevolmente verso il padre.Ora, c’è stato un periodo, nei seminari, in cui se non ci si “ricordava” di essere stati abusati sessualmente non ci si sentiva “a posto”. Tutti bene o male ricordavano di aver subito un abuso sessuale fra gli 0 e i 5 anni, ad opera di un parente stretto o di un amico di famiglia (sempre comunque con la complicità della madre). Chi non riusciva a ricordarlo veniva accusato in modo indiretto di “proteggere lo spazio del pedofilo e quindi lo spazio perverso della madre”, cioè di proteggere il pedofilo e la propria madre, complice del misfatto.Se vi era qualcuno che ricordava di aver subito abusi sessuali dopo l’età di 5/6 anni e non ne ricordava di precedenti, gli veniva detto dal maestro che l’abuso originario era stato sicuramente rimosso perché gli abusi che uno subisce dopo i 6 anni non sono altro che la ripetizione di un abuso avvenuto prima (il primo abuso si consuma in famiglia, secondo le teorie di questo signore, forse per questo deve avvenire in un’età in cui i bambini hanno ancora poche occasioni di frequentare ambienti diversi dalla famiglia).A una persona che non ricordava l’abuso, ho sentito il maestro dire di individuare chi, fra i parenti e gli amici che frequentavano la sua famiglia quando era piccolo, fosse il più apprezzato, considerato o amato (soprattutto da sua madre) e vedere se ci fossero eventi che potessero collegarlo all’abuso perché, diceva, di solito il potenziale pedofilo è la persona tenuta più in considerazione dalla madre.Quando una persona si ricordava l’abuso, veniva indicata come una di quelle che “avevano fatto il primo passo” verso la soluzione dei propri “nodi” e le veniva detto che il passo successivo consisteva nell’andare dai genitori e condividere questa sua bella scoperta e, nel caso vi fosse stata da parte dei genitori una reazione “negativa” quella persona doveva affrontarli con il “coraggio della verità”, come un vero “guerriero centrato nel suo potere personale” ed essere irremovibile circa la veridicità di ciò che aveva ricordato. A questo punto, il maestro raccontava e portava ad esempio di coraggio e integrità episodi che riguardavano persone del gruppo che in precedenza avevano “ricordato” l’abuso e che erano andate a condividerlo ai propri genitori, i quali non avevano reagito bene davanti a quella condivisione. Veniva molto apprezzato, all’interno del gruppo, e riconosciuto come “prova di integrità personale” il fatto che la persona che aveva “ricordato” l’abuso rimanesse ben salda sulle sue posizioni di fronte ai dubbi o reazioni “negative” dei famigliari. Veniva anche detto che chi, in famiglia, si opponeva con più veemenza alla verità di quel “ricordo”, era con buonissima probabilità la persona complice del pedofilo. Credo che questo possa aiutare a comprendere il motivo per cui, spesso, le persone si sentivano di dover interrompere i rapporti con la loro famiglia di origine, a meno che i famigliari riconoscessero la veridicità del “ricordo” dell’abuso (e in questo modo avvallassero anche il “lavoro” che il figlio/a aveva fatto in arkeon per arrivare a ricordarlo). Nell’ultimo caso, se il padre e la madre, oltre che a riconoscere la veridicità di quanto “ricordato” si scusavano sciogliendosi in lacrime davanti ai figli, allora venivano indicati dal maestro come genitori “saggi” e presentati al gruppo come esempio di “giusto comportamento”. Mentre la figura del padre rimaneva, in linea di massima, sempre “saggia”, sulla madre vi era la necessità di tenerla sotto osservazione in quanto il suo lato perverso, se appariva “domato” da una parte, poteva sempre saltare fuori da un’altra, così come quello di tutte le donne, del gruppo e non.

Tiresia
-continua-